Il diario disegnato di Cristina Gastel: “Io e la Callas, amiche a prima vista. E il binocolo donato da zio Luchino Visconti”

Milano – Settanta disegni, a matita o carboncino, per condensare sulla carta ricordi di vita ed emozioni che avevano come protagonista lei: Maria Dallas. Cristina Gastel, scrittrice e regista, nipote di Luchino Visconti, ripercorre così un’amicizia preziosa: Maria Callas - My personal diary, edito da Moretti e Vitali, sarà presentato domani alle 11.30 alla Biblioteca Nazionale Braidense insieme a Matteo Chiarelli, suo figlio nonché curatore del volume, e all’attore Mario Cei, che interpreterà alcune pagine con Anna Jenceck, intervallate dal canto del soprano Ivanna Speranza.
Come nasce questo diario?
“Ho cominciato con i disegni: per me era un modo di conservare quello che sentivo e immaginavo e i momenti di grande emozione della nostra amicizia. Io avevo vent’anni meno di lei, ma ci siamo subito trovate. I testi del diario sono venuti dopo, come fiori che sbocciano”.
Il ricordo che porta nel cuore?
“Il primo incontro: avevo 11 anni, ero piccolina e mio zio Luchino era entusiasta di Maria Callas. Me l’ha voluta fare conoscere. Io ero molto timida, è stata lei a chiamarmi vicino al suo mondo, che è diventato poi il mio: il teatro. Ho vissuto come immersa in un acquario di arte”.
È stata una musa ispiratrice?
“Sì, mi ha coinvolto quasi senza che me ne accorgessi in questo mondo fantastico dell’Opera. Mi rendeva parte delle sue emozioni di spettacolo, ma anche di vita. C’era corrispondenza: le bastava uno sguardo per capire se fossi triste o felice e mi dava consigli, sempre un passo più in là. E io facevo lo stesso per lei. Ci sono state bravissime cantanti negli anni, come lei nessuna: aveva un diverso intendimento dell’arte. Per lei era vita, metteva tutta se stessa. E aveva chiaro quello che voleva: rinnovare la giusta tradizione, rifacendosi all’autore dell’opera ma anche a se stessa. Interpretava personaggi diversissimi tra loro, hanno dovuto coniare un appellativo apposta: soprano drammatico d’agilità”.
Le stava stretto il concetto di diva?
“Sì, me lo diceva: “Non sono mai capricci quelli che faccio“. La sua era un’adesione totale: mai un gesto che andasse oltre la sua voce, ma bastava che alzasse la mano o un passo ad esprimere quello che cantava. Niente di spettacolare, tutto spettacolare. Nel 1981 ebbi il coraggio di scrivere una biografia su di lei, che era venuta a mancare nel ’77 perché quello che leggevo mi sembrava così distante da com’era. Quel libro ha fatto il giro del mondo, mi chiamano ancora gli studenti”.
Tra le sue pagine di diario e i suoi disegni c’è anche il binocolo che le ha regalato suo zio Luchino Visconti...
“Era bellissimo, credo antico, di madreperla e dorato. Un binocolino da teatro con l’asticella. Mi disse: “Non guardare solo la Callas però, lei è già abbastanza grande, guarda lo spettacolo attorno“. Un ottimo insegnamento. E lo portavo ovunque”.
Che fine ha fatto?
“È sparito misteriosamente all’Opéra di Parigi per una Tosca nel 1964 o ’65. C’erano Farah Diba e lo scià di Persia. Siamo rimasti da soli con loro nel foyer. Avevo in mano tutto, binocolo, borsa e programma di sala. L’ho appoggiato solo un attimo alla sedia e non l’ho più visto. Peccato, lo userei ancora”.
Ed era un dono di Visconti.
“In qualsiasi posto si trovasse comprava oggetti meravigliosi, al mio matrimonio ha preso mezza Assisi (sorride)”.
Com’era il rapporto tra zio e nipote?
“Lo zio era tenerissimo, ma anche severo. Mi chiamava sempre con nomignoli, tra i quali Oppenheimer, chissà perché. Io cercavo di vivere il più possibile alla Scala con tutti i miei amici e non era molto d’accordo perché perdevo tempo per lo studio. Dal 1954 al ’60 lui ha curato la regia di tantissime opere e io scappavo da scuola - dal liceo artistico delle suore - e andavo lì. Lo diceva a mia mamma, ma Maria Callas mi difendeva sempre. Io lo inseguivo in ogni caso. Una volta però fu lui a venire a vedere me, a sorpresa, al teatro San Babila”.
E cosa le disse?
““Bene, bene, vai avanti“. Mettevo in scena una mia opera, sperimentale, molto astratta”.
Era valsa la pena “bigiare“, insomma.
“Ormai le fughe da scuola erano superate”.
La prefazione del “personal diary“ è di Alessandro Quasimodo. Un altro grande amico scomparso pochi giorni fa.
“Lo avevo conosciuto alla Scala, quando era un ragazzino. Ci siamo sentiti fino a due o tre giorni prima: è stato attivissimo fino a dicembre e ha sempre avuto un coraggio da leone. Porta la sua firma anche la prefazione di un nuovo libro Le mie ballerinette (Peacock editore), che sarà presentato l’8 giugno a Villa Erba Visconti, una fiaba-poesia per immagini sul teatro e la sua magia. Con lui abbiamo fatto teatro d’avanguardia, ci divertivamo un sacco”.
E col suo fratellino, Giovanni Gastel?
“Mi ricordo che si stufava sempre quando era bambino, era l’ultimo di sette fratelli, in casa era amatissimo. Avevamo molta distanza d’età, ma un giorno gli scrissi una lettera: “Caro Giovanni, se ti annoi sappi che abbiamo sempre bisogno di un bambino negli spettacoli. Dimmi se accetti l’incarico“. Si era divertito tantissimo e io con lui: l’ho iniziato al mondo dell’arte, che ha fatto suo con la fotografia”.
Il Giorno